I tatuaggi sono una forma d'arte che, come tale, riflette la visione di chi la crea e di chi ne fruisce.
Inoltre, negli ultimi anni, vanno molto di moda, li vediamo neri, colorati o bianchi, e hanno un significato per noi che li abbiamo scelti e li leghiamo a momenti particolari della nostra vita che, per qualche ragione, non vogliamo dimenticare.
La domanda è: ma quando questi tatuaggi non hanno significato? O, meglio, hanno un significato totalmente diverso da quello che noi crediamo?
È il caso dei caratteri cinesi o dei kanji giapponesi: cercando in internet a volte ci si imbatte in veri e propri obbrobri, come traduzioni che considerano solo il suono dei caratteri, ma non il loro significato. Ne risultano combinazioni che, nella lingua d'origine, non hanno alcun senso. Di solito, inoltre, ci si dimentica (o non si conosce) il fatto che i nomi stranieri in giapponese sono traslitterati con un apposito alfabeto detto katakana, il che rende assurdo avere il proprio nome in kanji tatuato sull'avambraccio.
Eppure, molte persone portano tatuaggi in caratteri cinesi o giapponesi non solo spesso privi di significato, ma anche scritti in modo approssimativo. Sì, perché esiste anche un ordine nel quale i tratti che compongono i caratteri devono essere scritti!
Ma, il fascino di una cultura straniera, lontana, e, almeno graficamente, inintelligibile, continua a inebriare, con risultati purtroppo imbarazzanti.
Secondo un articolo del Sociological Images intitolato Lost in Translation: Tattoo and Cultural Appropriation, questa moda è assimilabile a una vera e propria forma di appropriazione culturale, in inglese cultural appropriation.
Susan Scafidi, docente di legge alla Fordham University di New York ha designato l'appropriazione culturale come l'"appropriarsi della proprietà intellettuale, delle conoscenze tradizionali, delle espressioni culturali, o manufatti dalla cultura di qualcun altro senza permesso. Questo può includere l’uso non autorizzato di una danza di un’altra cultura, di un abito, della musica, della lingua, del folklore, della cucina, della medicina tradizionale ecc.".
In base a questa definizione, secondo l'articolo della rivista online sopracitata, un kanji può costituire un esempio di appropriazione culturale quando è tatuato su una persona che non è giapponese né ha legami con la cultura del Sol Levante.
Questo dipende in parte dal fatto che i simboli e le lingue non sono così facilmente traducibili né traslitterabili, essendo essi portatori di una serie di aspetti culturali tipici soltanto di un determinato Paese.
Esiste un blog, Hanzi Smatter, in cui l'autore parla proprio di questo argomento, e invita i lettori a inviare fotografie di tatuaggi in caratteri cinesi o giapponesi, molti dei quali risultano poi non avere senso. Alcuni tatuaggi sono esilaranti perché composti con quelli che l'autore del blog definisce "gibberish font", font senza senso.
Alan Siegrist, traduttore dal giapponese all'inglese, ha anche compilato una tabella con le traslitterazioni più comuni dall'inglese al cinese e giapponese, in cui ogni carattere corrisponde a un suono dell'alfabeto inglese.
Va da sé che né la lingua giapponese né quella cinese funzionano in questo modo.
Certo, resta il fatto che, come sostiene Jarune Uwujaren, "ognuno dovrebbe essere libero di indossare i vestiti che vuole, di tenere i capelli come vuole, ma teniamo presente che utilizzare simboli della cultura di altri per soddisfare un bisogno di espressione personale è un esercizio privilegiato".
E tu cosa ne pensi? Hai visto tatuaggi fantasiosi in una lingua che conosci?
Scritto da Marcella Sartore, Marketing & Communication Assistant @ Athena Parthenos
Photo credits: cover photo dall'album Miyavi