Se le cose stanno così, una lingua andrebbe protetta dai quei meccanismi che, talvolta, ne determinano l'estinzione. Secondo l'UNESCO, "le lingue sono minacciate da forze esterne come l'assoggettamento militare, economico, religioso, culturale o educativo, o da forze interne come l'attitudine negativa della comunità nei confronti della propria lingua". In effetti, la prevaricazione di un popolo su un altro ritenuto inferiore comporta sovente la scomparsa della lingua e delle tradizioni della popolazione sottomessa, come accaduto per alcuni idiomi dei nativi australiani. Un fatto di impatto enorme, se si considera la lingua come un patrimonio che, sebbene non tangibile, conserva nel tempo la storia di un popolo, la letteratura, la quotidianità, le scoperte scientifiche e gli impieghi tecnici, e solo attraverso l'uso ne permette la sopravvivenza.
Non è dunque un caso che in prossimità delle elezioni il partito irlandese Sinn Féin abbia riproposto un decreto legislativo a protezione della lingua autoctona, basato sul modello di quelli in vigore nel Galles e in Scozia, al fine di ottenere il riconoscimento dell'irlandese tra le lingue di minoranza protette dall'Unione europea. Nel 2006 il governo britannico aveva già redatto un Irish Language Act, che però non è mai entrato in vigore nonostante le proteste di coloro che si battono a favore del riconoscimento linguistico, i quali sottolineano la sua importanza culturale e i benefici che porterebbe al turismo del Paese.
La situazione induce, dunque, a compiere una riflessione generale sull'importanza della lingua nella costruzione dell'identità nazionale e sul peso che essa esercita, non solo dal punto di vista culturale, ma anche politico, amministrativo e geografico.
In Italia, ad esempio, esistono molteplici minoranze linguistiche che la Costituzione riconosce attraverso la presenza di regioni autonome e l'articolo 3 della legge del 15 dicembre 1999: "[...] la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo". In Friuli Venezia Giulia, dove è situata la sede centrale di Athena Parthenos, è concentrata un'ampia varietà linguistica, testimonianza dell'avvicendarsi nella storia di popolazioni che, dai tempi di Giulio Cesare, si stanziarono sul territorio: Romani, Germani, Slavi, veneziani, francesi, austriaci. Per questo, oltre all'italiano, vengono riconosciute ufficialmente come lingue regionali il friulano, già citato da Dante nel De vulgari eloquentia (1303-1305), lo sloveno e il tedesco; mentre altre, quali il triestino, il bisiaco, il dialetto gradese, udinese e pordenonese sono ritenute "patrimonio tradizionale della comunità regionale".
Del resto, la lingua è un bene che una comunità, piccola o grande che sia, sente come proprio: un mezzo imprescindibile per esprimersi, comprendere sé stessi, la propria storia e gli altri. Ecco perché è importante salvare un idioma, anche se compreso da un gruppo ristretto di parlanti. Ma come fare? Secondo il prof. Giuseppe Bertagna, docente di pedagogia sociale e generale presso l'Università degli Studi di Bergamo, "il lavoro va affidato agli insegnanti". Più in generale, potremmo lasciarci alle spalle facili stereotipi e pregiudizi per rivolgerci con rispetto a culture diverse dalla nostra e, con una mente aperta, proiettarci alla scoperta e alla comprensione di mondi nuovi, propensioni che spesso si sviluppano proprio grazie allo studio di una o più lingue straniere.
Qualunque sia il metodo, ciò che è certo, come sostiene il filosofo e scrittore George Steiner, è che "quando una lingua muore, un modo di intendere il mondo, un modo di guardare il mondo muore insieme ad essa".
Scritto da Marcella Sartore - Marketing & Communication Assistant @ Athena Parthenos