La buona riproduzione di un contenuto verbale è il maggiore compito dell’interprete, che deve destreggiarsi in tempo reale tra la lingua di partenza e quella di destinazione, tra il cliente e il suo interlocutore.
Alla base deve, ovviamente, esserci la conoscenza perfetta non solo della lingua di destinazione, ma anche della lingua di partenza, oltre a una padronanza terminologica completa del settore in cui l’interprete si trova a lavorare.
Eppure, tutto questo non basta. La comunicazione, infatti, quando è faccia a faccia può essere anche non verbale, esula cioè dalle parole, come può essere un’espressione del volto o la postura del corpo. Durante un’interpretazione, l’interprete deve tenere conto dell’intonazione della voce, dell’espressione del corpo e del volto, delle pause, e deve farlo adeguando la comunicazione non verbale del proprio cliente alla cultura di destinazione dell’interpretazione.
Il linguaggio non verbale, infatti, è un’espressione dell'inconscio, e attraverso i gesti rafforziamo la parola e rendiamo più comprensibile il messaggio che vogliamo comunicare. Del resto, come ha sottolineato anche il sociologo Georg Simmel, attraverso gli occhi noi esprimiamo il nostro io.
Così, un gesto o uno sguardo, apparentemente innocui in una cultura, potrebbero dare adito a fraintendimenti o avere addirittura un significato opposto in un’altra cultura. In Gran Bretagna, per esempio, la V di vittoria con il palmo della mano girato verso di sé equivale a fare il dito medio.
Un interprete, dunque, si destreggia su una sottile line di neutralità in cui la cultura di partenza è incanalata e diretta verso quella di destinazione, un compito delicato che sicuramente richiede molto studio, ma ancora di più, molta pratica.