Corre l'anno 2017 e, a quanto pare, bisogna aggiornare anche il catalogo delle traduzioni: traduzioni editoriali, tecniche, di marketing… E ora anche di emoji. Sì, quegli emoji, le faccine che ogni giorno utilizziamo su Facebook, Twitter, WhatsApp e chi più social ha, più ne metta! Esiste perfino una giornata per celebrarli, il 17 luglio, il World Emoji Day!
E non è tutto: risale a pochi mesi fa l'annuncio di lavoro da parte di Today Translation, nota agenzia londinese di traduzioni, concernente la ricerca di un traduttore specializzato in emoji. "Vogliamo investire tempo ed energie in questo perché crediamo che l'uso di emoji diventerà sempre più popolare. È un'area complessa", così Jurga Zilinskiene, CEO e fondatore di Today Translation, giustifica l'annuncio.
Non tutti gli emoji, infatti, hanno lo stesso significato in tutte le culture: due braccia alzate come a formare un cerchio, ad esempio, indicano un'approvazione in Giappone, ma in italiano?
È proprio su questo elemento di multiculturalità che si poggia la necessità di un traduttore di emoji.
1. L'origine delle emoji
Gli emoji nascono nel 1998 in Giappone, da un'idea di Shigetaka Kurita, che all'epoca faceva parte del team di sviluppo di DoCoMo, uno dei maggiori operatori giapponesi di telefonia. L'anno successivo, infatti, DoCoMo si apprestava a lanciare i-modeTM, piattaforma per servizi internet mobili quali email e download. Ispiratosi alle previsioni del tempo che utilizzano simboli invece di parole (il termine stesso, emoji, è composto dai caratteri 絵e, disegno, e 文字moji, lettera), Kurita intuisce che una cosa simile poteva essere applicata anche ai telefoni cellulari. Il risultato sono 176 emoji che la DoCoMo utilizza per comunicare con i propri clienti, inviando loro informazioni meteorologiche, magari indicando loro il negozio più vicino dove acquistare un ombrello o una crema solare:
2. Emoji Mania
L'arrivo degli emoji in Occidente è in parte opera di Apple: dopo averne incluso l'uso all'interno di iOS per vendere i suoi prodotti anche in Giappone, nel 2011, l'azienda di Cupertino li aggiunge anche all'edizione internazionale di iOS 5. Nasce il boom di emoji: non solo email, messaggi, tweet, ma, in tempi più recenti, perfino traduzioni di grandi classici come Pinocchio.
3. Classici in traduzione
Gli emoji sono ormai diventati oggetto di studio anche in ambito accademico: Francesca Chiusaroli (Università di Macerata), Johanna Monti (Orientale di Napoli) e Federico Sangati (ricercatore indipendente) lavorano al progetto Emojitaliano, cioè alla costruzione di un linguaggio fruibile a tutti, dai disabili ai migranti. Primo ambizioso step del progetto è la traduzione di Pinocchio con il linguaggio degli emoji: ogni follower del blog scritturebrevi, curato dalla stessa Francesca Chiusaroli, è invitato a rielaborare in emoji una frase dell'opera di Collodi. A fine giornata, i ricercatori scelgono la traduzione migliore, pubblicando con essa anche un glossario ufficiale. Un esempio? Il ragazzo in jeans e maglietta che corre è Pinocchio. Il glossario è poi confluito in un dizionario digitale, EmojitalianBot, che permette di cercare la traduzione da e in emoji.
Quello di Pinocchio non è, tuttavia, il primo esperimento di traduzione che coinvolge gli emoji: già nel 2015 The Guardian aveva tradotto il discorso di Obama sullo Stato dell'Unione, mentre l'artista e designer Joe Hale ha trasformato Alice nel paese delle meraviglie in un poster di oltre 25.000 emoji, Wonderland Emoji.
Gli emoji, infatti, nel corso di vent'anni, sono diventati un vero e proprio lessico comprendente migliaia di faccine (come li chiamiamo noi). Periodicamente, l'Unicode Consortium, che si occupa della standardizzazione dei caratteri e dell'interoperabilità fra i dispositivi che usano sistemi diversi, raccoglie le proposte dei membri: le più votate entrano negli aggiornamenti dei nostri smartphone, tablet e computer. Per fine anno, tra l'altro, sono previsti circa 8000 nuovi emoji in arrivo.
In sostanza, una mole di nuove parole "in formato disegno" che, quando non sostituiscono del tutto la scrittura tradizionale, la integrano, conferendole sfumature d'ironia che talvolta vanno perse nello scritto. Come riflette Claudio Rossi Marcelli su Internazionale: "Se chiudi il messaggio con una scimmietta che si tappa la bocca, puoi scrivere qualunque sconcezza".
4. Ritorno al futuro
Alla fine, scriveremo solo attraverso disegni e faccine? Secondo Vyvyan Evans, linguista cognitivo ed esperto di pubblicazione, autore del saggio Emoji Code, "Un linguaggio ha bisogno di una grammatica condivisa e gli emoji che usiamo oggi ancora non ce l'hanno. Sono perfetti come complemento o contrappunto alle nostre frasi, funzionano come il linguaggio del corpo nelle conversazioni a voce.[…] Anche gli emoji si evolvono. In futuro potrebbero diventare un linguaggio che non ha bisogno di appoggiarsi alle parole e crea strutture autosufficienti".
Nel frattempo, un pezzo di passato ha fatto il suo ritorno al futuro: i 176 emoji originali ideati da Kurita sono entrati a fare parte della collezione permanente del MoMA di New York.
Se non sono ancora linguaggio, gli emoji, però, sono già arte.
Scritto da Marcella Sartore, Marketing & Communication Assistant @ Athena Parthenos
Photo credits: header: l'installazione di emoji al MoMA, www.users.globalnet.co.uk